Concordato preventivo e transazione fiscale

La proposta di transazione fiscale nell’ambito del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti deve essere supportata dall’attestazione di un professionista, munito dei requisiti previsti dall’art. 67, comma 3, lettera d, della legge fallimentare, che accerti l’esistenza del presupposto sostanziale cui l’articolo 182 ter, comma 1, della stessa legge fallimentare subordina l’attuabilità della transazione.

Il pagamento parziale e/o dilazionato

Nell’ambito del concordato preventivo, il pagamento parziale e/o dilazionato dei debiti tributari è consentito solamente qualora il piano ne preveda “la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione” come deve essere indicato nella relazione di attestazione.

Nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, invece, l’attestatore deve riferire della convenienza del trattamento (dei crediti tributari) proposto dal debitore “rispetto alle alternative concretamente praticabili”.

Ne consegue che la possibilità di pagamento parziale dei debiti fiscali viene consentita solamente qualora l’attivo societario non sia sufficiente a garantire, in un’ipotesi liquidatoria, il pagamento integrale di tutti i creditori assistiti da una causa di prelazione (ipotesi, peraltro, che rende generalmente necessaria la redazione della relazione di stima prevista dall’art. 160, comma 2, legge fallimentare).

L’art. 182 ter della legge fallimentare

L’art. 182 ter, comma 1 non chiarisce se la relazione richiamata dallo stesso articolo debba essere redatta distintamente dall’attestazione di cui all’art. 161, comma 3, legge fallimentare, oppure distintamente dalla relazione di cui all’articolo 160, comma 2, legge fallimentare.

Lo scopo dell’attestazione di cui all’articolo 182 ter, comma 1, legge fallimentare, è comunque quello di assicurare all’amministrazione finanziaria, ed al Tribunale, che il pagamento offerto dall’impresa debitrice rappresenta per l’Erario il miglior risultato conseguibile, tenuto conto dello stato di crisi in cui versa la stessa impresa debitrice.

La proposta relativa ai creditori privilegiati

Il Secondo Comma dell’art. 160 – con la riforma del 2007 – consente al Debitore di costruire una proposta che preveda la falcidia dei creditori privilegiati. La proposta può prevedere che i creditori muniti di diritto di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente.

Ciò è possibile a patto che il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d). Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione.

La norma, se da un lato non preclude espressamente la soddisfazione dei creditori privilegiati con dilazione, ovvero con mezzi diversi dal pagamento in danaro, dall’altro postula l’ammissibilità di forme di adempimento dell’obbligazione distinte, per modalità e tempi, dal “pagamento integrale”, il quale – secondo la dottrina e la giurisprudenza – ricorre solo nell’ipotesi di pagamento per intero, in danaro e senza dilazione.

La soddisfazione del creditore

La “soddisfazione” del creditore (che può essere integrale o meno in rapporto al quantum offerto al creditore) indica una modalità di estinzione dell’obbligazione difforme rispetto al “pagamento integrale”, sicchè l’utilizzo di tale locuzione all’interno dell’art. 160, co. 2, l.f, costituisce un chiaro indice della possibilità di un degrado non solo quantitativo, ma anche qualitativo e/o temporale dei crediti privilegiati.

L’art.160 pone un limite minimo alla «soddisfazione» non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.

La valutazione del Tecnico deve, dunque, prendere a riferimento soluzioni alternative concrete, in altri termini la liquidazione in sede fallimentare (su questo punto anche ODCEC).

Nel caso di valutazione dell’intero patrimonio del debitore (privilegi generali) si pone la scelta se inserire o meno le azioni revocatorie e/o di responsabilità attivabili nel caso di fallimento (in senso favorevole Tribunale Trento 27 febbraio 2014, ODCEC.

Le difficoltà di definizione del «valore minimo»

Le difficoltà di definizione del «valore minimo» – valore e non intervallo di valori – sono evidenti se esaminiamo due casi che tendono ad essere maggiormente frequenti in questo periodo:

  • DEGRADO DI PRIVILEGI GENERALI: in questo caso la relazione ex art 160 deve necessariamente valutare tutti i beni ricompresi nel patrimonio del debitore al fine di stabilire quali privilegi non troveranno capienza e di quanto potranno essere degradati in chirografo. Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione.
  • CONCORDATI IN CONTINUITA’: nel caso di concordati in continuità possiamo avere due casi:
  1. a) cessione dell’azienda in funzionamento;
  2. b) risanamento dell’azienda in capo al debitore – continuità diretta.

In queste due ipotesi di piano concordatario si hanno delle risorse «aggiuntive» rispetto alla liquidazione fallimentare (la vendita di beni in funzionamento è più conveniente rispetto alla liquidazione unitaria, la continuità genera dei flussi di cassa aggiuntivi rispetto alla cessazione di ogni attività).

L’alternativa al piano concordatario

Va innanzitutto fatta la premessa circa l’alternativa al piano concordatario:

  • Nell’ipotesi di concordato liquidatorio l’alternativa non può, nella maggioranza dei casi, che essere quella di un ricorso alla procedura fallimentare;
  • Nell’ipotesi di concordato in continuità occorre riferire che sovente non è possibile ipotizzare l’alternativa di un concordato liquidatorio poiché la percentuale minima per il soddisfacimento dei creditori chirografari (minimo 20% ai sensi dell’art. 160, co. 3, l.f.) non appare raggiungibile.

Premesso quanto sopra, in considerazione del fatto che nella maggior parte dei casi non appare percorribile neppure una liquidazione societaria in bonis, l’unico confronto possibile è con uno scenario che prevede la liquidatoria fallimentare.

Premesso quanto sopra, il confronto, a parere dello scrivente, deve avvenire tra una ipotesi di liquidatoria fallimentare, in cui la soddisfazione dei creditori è calcolabile solo “per masse” pervenendo ad una ipotetica percentuale di soddisfazione per i chirografi, ed una ipotesi in continuità che prevede una soddisfazione, come detto, “per classi”.

Piano concordatario vs. Piano liquidatorio

Si tratta quindi di riferire come all’interno della procedura concordataria sono soddisfatti i creditori (per classi) e come lo sarebbero in caso di liquidazione fallimentare (per masse di privilegi e di chirografi), al fine di attestare la misura della soddisfazione dei creditori all’interno di un piano concordatario rispetto alla misura della soddisfazione all’interno di un piano liquidatorio, ed in ultima analisi il miglior soddisfacimento nell’ambito di un piano concordatario.

Il risultato di cui sopra si ottiene effettuando un’accurata e prudenziale analisi dei valori dell’attivo assunti per la predisposizione del piano concordatario e verificando per ciascuno degli stessi la possibilità di realizzo in sede di liquidatoria fallimentare (la valutazione del realizzo in sede di liquidatoria fallimentare deve tenere in considerazione gli abbattimenti cui normalmente sono sottoposti i cespiti e le rimanenze nonchè i costi da sostenersi per il realizzo degli stessi, i costi per il recupero di crediti e le svalutazioni cui sono sottoposti gli stessi in conseguenza di transazioni, ecc.).

Analogamente, si dovrà effettuare un’attenta verifica del passivo concordatario, eventualmente integrandolo con passività e oneri da dissesto che sorgono in conseguenza della declaratoria fallimentare.

Un esempio concreto

A titolo esemplificativo si rappresenta un’ipotesi di calcolo del realizzo dell’attivo e di quantificazione del passivo in sede di liquidatoria fallimentare:

Attivo in ipotesi fallimentare  
Valore di liquidazione dei beni di proprietà                1.500.000
Partecipazioni                    50.000
Rimanenze magazzino                  600.000
Crediti diversi                      5.000
Crediti commerciali                1.000.000
Crediti tributari                          –
Disponibilità liquide                  100.000
Azioni revocatorie                  700.000
Azione responsabilità                  500.000
Totale attivo               4.455.000

 

Passivo in ipotesi fallimentare  
Fondi spese di giustizia                  300.000
Costi procedura fallimentare                    50.000
Debiti professionisti concordato in prededuzione                  250.000
Debiti v/dipendenti e TFR               1.000.000
Debiti v/professionisti                  300.000
Debiti v/artigiani e cooperative               1.450.000
Debiti v/locatori                  350.000
Debiti v/istituti previdenziali               1.800.000
Debiti v/Erario in transazione               3.300.000
Debiti per tributi locali                  500.000
Fornitori e altri chirografi                5.500.000
Debiti finanziari chirografi                2.250.000
Totale attivo             17.050.000

Premesso quanto sopra la possibilità di soddisfo del passivo in caso di fallimento si configura almeno come segue:

Ipotesi rimborso del passivo fallimentare  Importo debito Importo soddisfatto Attivo residuo % soddisfatto
Attivo in ipotesi fallimentare               4.455.000  
Spese giustizia 111 L.F.           300.000          300.000         4.155.000 100%
Costi gestione procedura fallimentare 111 L.F.            50.000           50.000         4.105.000 100%
Spese professionali prededucibili 111 L.F.           250.000          250.000          3.855.000 100%
Debiti verso dipendenti 2751 bis n.1 c.c.         1.000.000        1.000.000          2.835.000 100%
Debiti verso professionisti 2751 bis n.2 c.c.           300.000          300.000          2.535.000 100%
Debiti verso artiginani e cooperative 2751 bis n.5 c.c.         1.450.000        1.450.000          1.085.000 100%
Debiti verso locatori 2764 c.c.           350.000          350.000            735.000 100%
Debiti verso Inps (quota privilegiata) 2753 c.c.         1.800.000         735.000                   – 41%
Debiti verso erario (in transazione) 2752 c.c.         3.300.000                  –                   – 0%
Debiti per tributi locali 2752 c.c.           500.000                  –                   – 0%
Fornitori e altri chirografi        5.500.000                 –                   – 0%
Debiti finanziari chirografi        2.250.000                 –                  – 0%
Passivo in ipotesi fallimentare   17.050.000 4.455.000    
 

Conclusioni

In ipotesi di liquidazione fallimentare (nell’esempio di cui sopra), quindi, tenuto conto del peso dei creditori privilegiati sul passivo (da soddisfare integralmente), non sarà possibile soddisfare integralmente il debito previdenziale (che resterà insoddisfatto per il 41% circa) e resteranno del tutto insoddisfatti i debiti verso Erario in transazione e i debiti di natura tributaria verso Enti locali. Ai creditori chirografari non potrà essere destinata alcuna somma.

Diversamente, il piano concordatario prevede il soddisfacimento integrale dei debiti verso istituti previdenziali, il soddisfacimento in percentuale dei debiti verso Erario (comunque in percentuale maggiore rispetto ai restanti creditori assistiti da privilegio inferiore ed ai creditori di rango chirografario), nonché il soddisfacimento in percentuale minore dei debiti per tributi locali e in ultimo in percentuale per i creditori chirografari.

 

Dott. Sandro Aceto