Smart City

smart cityIl termine inglese “smart” è certamente oggi iperutilizzato.  Tra i molteplici significati che detiene,  la lingua  inglese è un mare aperto in cui i significati delle parole variano in base ai contesti di pensiero o alle zone geografiche, a noi piace utilizzare la traduzione “intelligente+facile“.

Il concetto di smart city

Cosa si intendiamo allora col termine  “smart city”? Cos’è una città intelligente  e facile?

Smart city è una città che utilizza e gestisce  al meglio le risorse di cui è “proprietaria” tramite sistemi di risparmio e ottimizzazione e condivide informazioni con gli utenti e i cittadini. Per fare ciò la città deve dotarsi di una infrastruttura di rete e centrale con capacità di interscambio dei dati in maniera intelligente.

Il criterio smart può ad esempio essere utilizzato per il controllo del traffico tramite la gestione dei semafori in funzione del traffico, oppure mediante segnalazioni in tempo reale di rallentamenti e percorsi alternativi. Ancora più immediatamente utile è l’acquisto del biglietto del tram tramite il proprio telefono portatile (visto e utilizzato con sollievo a Firenze). Già abbiamo visto applicato il lampione smart, che ci accende o aumenta la capacità luminosa al transito di persone e così via.

Ma il concetto di tecnologia smart per il quale già ci accorgiamo di alcune applicazioni seppure settoriali, non può fermarsi qui ma deve estendersi a gran parte dei servizi amministrativi se si vuole realmente rendere agevole al cittadino la macchina burocratica e qui si apre tutto il contesto delle certificazioni elettroniche.

L’ultima frontiera delle applicazioni smart sta avendo un enorme impulso nei materiali da costruzione come nel caso dell’applicazione dei principi della fotocatalisi agli asfalti, alle pareti, ai tetti ove si possono già applicare materiali che reagendo con la luce scindono le molecole dell’anidride carbonica, abbattendo il carbonio e rilasciando l’ossigeno, contribuendo così all’abbattimento dei gas serra. Insomma, applicando l’intelligenza alla facilitazione dovrebbe aspettarci un futuro che ci faccia vivere la città in maniera più semplice eliminando via via la faticosa della burocrazia, mostro dalle mille teste, spesso utilizzato come metodo di dissuasione per scoraggiare l’utenza.

Come ripensare una smart city?

Il nucleo del problema per far sì che la città diventi un’entità smart è un radicale ripensamento degli attuali metodi di gestione, riprogettare l’approccio burocratica all’informazione, riprogettare anche l’approccio al dialogo coi cittadini facendo uno sforzo per abbattere le mediazioni in vista di una possibilità più diretta di scambio delle idee e quindi in fondo di una diffusione più capillare del processo di democratizzazione reale della società e, se pensiamo ai  settori in cui si articola la pubblica amministrazione, del lavoro ce n’è molto da fare. Ovviamente il settore privato è già un passo o due più avanti perché da sempre abituato a gestire l’ottimizzazione dei processi per l’abbattimento delle tempistiche ad ha un migliore approccio alle nuove tecnologie, ma la macchina pubblica è tutt’altra cosa purtroppo.

Ad ormai più di quindici anni dalla famosa “riforma Bassanini” che obbligava la P.A. a ribaltare il concetto di burocrazia, introducendo il principio di sussidiarietà null’altro è stato fatto in termini di semplificazione se non la creazione degli URP. La famosa figura del City Manager, sempre introdotta nelle ricordata riforma, non è stata sfruttata e si è quindi già rinunciato ad una possibile competenza rinnovatrice. Per non parlare del Codice dell’Amministrazione Digitale ben lungi dall’aver sostituito la carta entro la cui massa il nostro paese si sta appunto “incartando”.

E allora la battaglia per la facilitazione è già persa? No di sicuro, in realtà il processo si è messo in moto e da solo si sta imponendo contro i freni che trova sul suo cammino. certo poteva essere meglio agevolato anche in una realtà come la nostra fatta di città storiche coperte da tutele e divieti. Io non credo a coloro che affermano che una smart city si può creare solo partendo da zero o dal foglio bianco del progettista (o meglio dallo schermo del PC del progettista). Come al solito in ogni contesto emergono i “pensieri ” estremi che non aiutano mai lo sviluppo concreto della società.

Il concetto di intelligente+facile si imporrà per forza di cose perché per sua natura porta con sé il risultato di ottenere un risparmio diffuso di risorse che è uno dei nodi dai quali dovrà ripartire il rilancio della vecchia Europa  carica di debiti, burocrazia e pregiudizi, un rilancio basato su un modello di sviluppo efficiente, non rapido (fast), ma slow e smart. E’ solo un crescita lenta ma intelligente che potrà stabilizzare le nostre economie sbaragliate dall’orgia del ” fast and furious” dei capital gain virtuali e dalla world fast finance.

Ricordiamo sempre che Smart è sinonimo di intelligente il termine “rapido” compare solo come sesta proposta di traduzione dal vocabolario inglese.

La situazione mondiale

Per concludere togliamoci lo sfizio della curiosità, vediamo come se la cavano nel resto del mondo. L’ultima classifica delle città più smart, pubblicata dall’IESE business school di Navarra (sedi di Barcellona e Madrid) vede al primo posto Tokyo seguita da Londra, New York, Zurigo, Parigi, Ginevra , Basilea, Osaka, Seoul e in decima posizione Oslo, la prima città italiana è Roma (udite udite) al 54° posto seguita da Firenze, Milano e Torino (rispettivamente 57°- 58° – 69°). Beh, dopo tutto la vecchia Europa non se la cava poi male. La classifica per correttezza di notizia si basa su una serie di indicatori basati su 10 grandi categorie: governance, public management, urban planning, technology, environment, international outreach, social cohesion, mobility&transportation, human capital, economy. (i dati complessivi dell’analisi sono rintracciabili slla piattaforma citiesinmotion.iese.edu).

 

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Arch. Vittorio Valpondi